domenica 16 maggio 2010

e alla fine arriva "Sofia"

"C'ero una volta io, ma non andava bene. Mi capitava di incontrare gente per strada e di scambiarci due parole, e per un po' la conversazione era simpatica e calorosa, ma arrivava sempre il momento in cui mi si chiedeva: Chi sei? e io rispondevo Sono io, e non andava bene. Era vero, perchè io sono io, è la cosa che sono di più e se devo dire chi sono non riesco a pensare a niente di meglio. Epure non andava bene lo stesso: l'altro faceva uno sguardo imbarazzato e si allontanava il più presto possibile. Oppure chiamavo qualcuno al telefono e gli dicevo Sono io, ed era vero, e non c'era un modo migliore, più completo, più giusto di dirgli chi ero, ma l0altro imprecava o si metteva a ridere e poi riagganciava.
Così mi sono dovuto adattare. Prima di tutto mi sono dato un nome e se adesso mi si chiede chi sono rispondo: Giovanni Spadoni. Non è un granchè, come risposta: se mi si chiedesse chi è Giovanni Spadoni probabilmente direi che sono io. Ma, chissà perchè, dire che sono Giovanni Spadoni funziona meglio. Funziona tanto bene che nessuno mai mi chiede chi è Giovanni Spadoni: si comportano tutti come se lo sapessero.
Invece di chiedermi chi è Giovanni Spadoni gli altri mi chiedono dove e quando sono nato, dove abito, chi erano mio padre e mia madre. Io gli rispondo e loro sono contenti. E forse sono contenti perchè credono che io sia quello che è nato nel posto tale e abita nel posto talaltro e che è figlio di Tizio e di Caia e padre di questo e di quello. Il che non è vero, ovviamente: non c'e niente di speciale nel posto tale o talaltro, o in Tizio e Caia. Se fossi nato altrove, in un'altra famiglia, sarei ancora lo stesso, sarei sempre io: è questa la cosa che sono di più, la cosa più vera e più giusta che sono. Ma questa cosa non interessa a nessuno: gli interessa dell'altro, e quando lo sanno sono contenti.
Una volta c'ero io, e non andavo bene. Adesso c'è Giovanni Spadoni, che è nato a X e vive a Y e così via. E io non sono niente di tutto questo, ma le cose vanno benissimo."

IO, tratto da La filosofia in 42 favole - E.Bencivenga

Mia sorella ha regalato questo libricino a mia madre. Mi incuriosiva, ma avevo già una lista prioritaria di libri già bella fitta, e il richiamo lontano che percepivo....lo ignoravo. C'era qualcosa che mi portava a titubare anche soltanto nello sfogliar la parte iniziale.
Poi, trasportata da un buon sottofondo musicale e in cerca di pace e relax, ho preso il libro e l'ho aperto, sempre a caso (cosa che faccio solo con i libri di aforismi) e mi son ritrovata il titolo di una delle favole "Gli uomini e le parole". Una lampadina mi si è accesa e ho creduto che ci fosse qualcosa che poteva aiutarmi col lavoro che stavo svolgendo, ho letto tutto d'un fiato e son rimasta sorpresa per due motivi banalissimi: la concisione della "favola" e la semplicità, nonostante si sfruttino elementi "assurdi" al fine di spiegare i "fenomeni" più impliciti e quindi il termine "favola" è legato all'elemento creativo che rende particolare la dimensione che si crea pagina dopo pagina.
Ho continuato a leggere, riprendendo le favole che avevo tralasciato e scoprendo questa che ho riportato qui.
C'è molto di più di un declamare "io sono io" e senza l'altro non posso enunciare la mia esistenza. Qui c'è un "io" iceberg, la cui punta è fatta di due vocali, ma il fondo è contenuto infinito. Potrei facilmente usare questa favola con tutti coloro che si impuntano nell'affermare di sapere già quanto basta di coloro che reputano amici e sentenziano "io sono questo", con la postilla "se mi vuoi è così altrimenti amen"; allo stesso modo potrei lanciare un attacco verso quelle persone che si fermano ad un nome e qualche aspetto esteriore e si accontentano, non andando oltre, proprio come nella favola.
La comune con le restanti 41 ministorie è che il finale è sempre un po' amaro, proprio come la vita.

sabato 15 maggio 2010

3 folli per 1 canzone "a 4 accordi"

Ringrazio Eli per avermi fatto vedere questo link...



giovedì 13 maggio 2010

stormin'

Al suolo
arida e senza sole
ogni cosa evapora
lasciandomi qui
inerme.
Urla la mia voce
tocca note silenti
che solo il cuore sopporta,
il resto sta scomparendo.

Quel che ho sognato
è maledizione,
incomprensione,
un vintage che non mi si addice.
Le mie notti dattilografate
muoiono dopo l'ennesima canzone.

Punizione o tentazione,
il bivio è sottile
e chiedo l'aiuto di un sogno
che porti il nuovo giorno.

5.5.'10 - L.D